Nel film “I sogni segreti di Walter Mitty” (rifacimento di The Secret Life of Walter Mitty del 1947) , Walter (Ben Stiller) lavora nella redazione di Life, la storica rivista di viaggi e avventura e si ritrova a dover scegliere velocemente, ma non lo fa. Pondera…senza esagerare.
Walter si occupa dell’archivio fotografico. Un mestiere apparentemente noioso, ben poco avventuroso e che, per via di varie vicissitudini, lo porterà a buttarsi nelle gelide acque del mar glaciale artico, si avventurerà solo tra i ghiacci della Groenlandia e ritroverà sé stesso sfrecciando sullo skateboard lungo il Þjóðvegur 1 (Anello), la principale strada islandese che percorre l’isola in forma circolare.
Prima dell’avvento del digitale, scegliere una foto era un specie di rito, una pratica Zen che, nei primi anni trenta, segnò un vero e proprio “metodo” tra i fotoreporter del tempo. I provini a contatto – stampe a grandezza naturale di parti di rullino – rappresentavano il primo sguardo che il fotografo posava su ciò che era riuscito a catturare sulla pellicola. Nessuna anteprima, nessuna eliminazione pre-stampa. Tutto era lasciato alla sorpresa, anche per i più esperti. L’agenzia Magnum fu la prima agenzia ad adottare questa metodologia come workflow ufficiale.
I provini, le sequenze rimaste negli archivi delle grandi agenzie, nelle redazioni giornalistiche o nelle scatole dei fotografi stessi, documentano la costruzione di una fotografia o, in modo più approfondito, una sequenza. Un determinato scatto è frutto di un attenta analisi e studio oppure di un momento fortunato e del tutto casuale? Il fotografo ha immediatamente notato la scena che gli compariva innanzi, studiandone i dettagli con scrupolosa attenzione, oppure il “momento decisivo” è stato il vero protagonista di quello scatto?
La sequenza dei provini che portano a quello scatto, a quell’immagine iconica, strumento ormai obsoleto, resta uno degli strumenti più affascinanti della fotografia: una rappresentazione del senso temporale, una sequenza che si sviluppa e rende, di un determinato momento, sia la logica del tempo che, in taluni casi, la consapevolezza dello spazio.
La Leica, fotocamera emblema degli apparecchi leggeri, introdotta come macchina ideale per reportage e street, viene scelta da Cartier-Bresson come macchina d’elezione, facendone il suo inseparabile terzo occhio e seconda anima.
L’utilizzo dei provini a contatto è legato all’introduzione di questo metodo di lavoro, nato tra gli anni ’20 e e l’inizio degli anni ’30. Una delle prime pubblicità della Leica faceva leva sul fatto che questa nuova “compatta” era veloce: veloce nell’avvolgere automaticamente il rullino, veloce nel mettere a fuoco e veloce nello scattare 3 fotografie consecutive in pochi secondi.
SCEGLIERE VELOCEMENTE
Questo nuovo approccio basato sulla velocità, incoraggia i fotografi ad affrontare la fotografia in modo diverso, meno concentrato sulla pellicola e più FOTO, sulla FOTO, capacità di scegliere velocemente l’immagine migliore dopo lo scatto e non prima di premere il pulsante.
La svolta digitale, in particolare adottata nelle agenzie più importanti, si presenta agli inizi del 2000, quando una nuova generazione di foto-giornalisti comincia a documentare le nuove guerre.
I fotografi sono sempre più spesso chiamati ad intervenire sul loro lavoro non solo per ricoprire il ruolo di “semplici” fotografi, ma per affrontare attività che, fino a quel momento, erano state lasciate in capo alle agenzie stesse all’interno degli uffici di editing e archivio, proprio dove lavorava Walter Mitty! 🙂
Aumentano sempre di più gli strumenti da gestire e, non meno importante, la tecnologia entra prepotentemente nella vita dei fotografi che da un lato apre le porte a possibilità pressoché illimitate, dall’altro spinge molti professionisti ad abbandonare per via delle difficoltà nell’apprendimento.
Con il digitale il processo si è velocizzato in modo incredibile ed è molto più difficile avere la possibilità di rivedere il lavoro svolto sul campo. Questo vale per tutto il mondo del reportage e del foto-giornalismo, ma sta facendo capolino anche in altri ambiti fotografici, dove la velocità, magari, non sarebbe necessaria.
Un fotografo paesaggista potrebbe non avere la stessa fretta nel dover inviare le immagini ad una redazione giornalistica ma, forse per via della fretta e dalla smania di condivisione ormai imposta dalla rete, anch’esso ha sviluppato un flusso di lavoro sempre più rapido e che, per forza di cose, allontana da quel processo iniziale fatto di pacate e ragionate scelte.
Che sia una foto o la decisione più importante della nostra vita, fermiamoci un attimo e cerchiamo di non scegliere velocemente.