#108. RINUNCIARE
L’anno scorso decisi di scrivere un libro (solo a rileggere questa frase mi viene la pelle d’oca), ero determinato: “avrei scritto quel libro!”
Per scrivere mi sono preso un momento di pausa, ho staccato dai social, ho abusato di analgesici per il mal di testa, ho trascurato il lavoro, e anche la famiglia. Ero così determinato che…rinunciai. È durato poco e mi sono sentito in colpa. No…non per aver deciso di rinunciare, ma per averci provato.
Appunti, note, pensieri, qualche schizzo, un po’ di foto…avevo messo insieme tante di quelle cose che ad un certo punto sono entrato nel panico e non riuscivo ad uscirne. E mi ci ero infilato da solo. Nessuno mi aveva costretto. Ero lì, solo, con le mie pagine confuse e la mano dolorante per il movimento dovuto alla scrittura rigorosamente a penna; non avevo (e non ho) idea di come si scriva un libro, non conosco le tecniche di persuasione, gli escamotage per creare suspense, la dialettica di un genere rispetto ad un altro, inoltre ho un italiano stentato e ben poco rigoroso. Sapevo di essere onesto e nulla di più. Quello che cercavo di raccontare, e che volevo condividere, era semplicemente una raccolta di aneddoti che non aveva alcun filo logico. Forse. Sì perché, a decidere che non fosse “degno di nulla“, sono stato io.
Fin dalle prime righe di quel testo e per tutto il tempo che ho impiegato a scrivere quelle maledette pagine, mi sono sempre concentrato sulla questione sbagliata: piacerà? E questo è l’approccio giusto per toppare clamorosamente. Se affronto un progetto, un’idea o un lavoro solo per farlo piacere, allora ci sono a buonissime possibilità che io fallisca. Mi spiego. Preoccuparsi per la riuscita di un proprio lavoro è naturale e sano, ma le fasi per realizzarlo non possono avere come denominatore comune solo quel pensiero. Chi non vorrebbe riconoscersi un talento, magari premiato con il riscontro, il successo, il clamore? “Fai con amore ciò che fai”, diceva non so chi, “e non lavorerai un giorno!” Già.
Mi sono ritrovato a rinunciare. Non lo feci consapevolmente, non lo decisi un bel giorno con fermezza. Abbandonai e basta, pian piano, senza aver preso una vera decisione, ponderata. Lasciai perdere, come si fa con tante cose, con gli oggetti che non ci servono più e, più tristemente, con le persone. Pian piano non le sentiamo più, rimandiamo…falliamo nei rapporti.
La scrittrice Lauren Oliver sostiene che “c’è sempre un po’ di sollievo nella rinuncia”. La rinuncia viene quasi sempre avvicinata al fallimento, alla sconfitta e, far sì che in cuor nostro non sia percepita in questo modo, non è affatto semplice. Col senno di poi sono felice di non aver mai mandato avanti quel libro, ma sarei stato più felice se quella scelta fosse stata più consapevole e decisa, e non scivolata via per inerzia. Questa credo sia la differenza sostanziale tra fallimento e rinuncia: la rinuncia è una scelta consapevole, il fallimento è un accadimento che, spesso, non dipende nemmeno da noi. Io ho fallito, e non smetterò di farlo, ma mi impegnerò a diminuire i fallimenti trasformandoli in rinunce.
Keypoint: non è importante quante volte rinunciamo, ma quante volte lo abbiamo deciso consapevolmente.