E quanto dura questo inizio? Perché per qualcuno l’inizio dura sempre pochissimo mentre per altri sembra essere eterno?
Come tanti ho iniziato ad usare la macchina fotografica da molto piccolo, era un gioco. Come lo è stato per tantissimi. Non avevo alcuna passione, nessun amore o particolare trasporto.
Smisi di fotografare nel giro di pochissimo. Non avevo alcuna velleità, mi piacevano mille cose e, crescendo, provavo sempre più antipatia nei confronti della fotografia e dei fotografi.
Li trovavo odiosi nei loro gesti rituali: pulire e montare gli obiettivi, inserire la pellicola, installare le batterie, mettere a fuoco, girare tutte quelle manovelle, scattare, infilare il rullino nel contenitore, andare dal fotografo per le stampe, tornare e vedere che erano orrende.
Fotografavo perché dovevo fotografare, perché ero in vacanza, perché amici o parenti mi mettevano una macchinetta di plastica in mano dicendomi “dai facci una foto“. Nulla di più.
Sarà capitato anche a qualcun altro, cazzo? O sono tutti partiti in fasce chi con la macchina fotografica, chi con la chitarrina, chi con i mestoli di legno? Sembra quasi che se non sei partito con la passione del momento fin da quando ancora gattonavi, allora hai meno credibilità.
Ma chi lo ha detto? Laura Ingalls Wilder, quella de “La casa nella prateria” ha raggiunto la notorietà a 65 anni, la stessa età che aveva il Colonnello Sanders quando fondò il fast-food Kentucky Fried Chicken
Leggo di molti fotografi – ma non solo fotografi – che raccontano di passioni nate in fasce, che già a 5/6 anni avevano la loro “visione del mondo” e si auto-glorificano in un turbinio di parole fatte di finta modestia e di “ditemi quanto sono bravo” travestiti da “sto imparando, sono solo agli inizi“.
Ma se sono cinquantanni che lo fai!? Io a quell’età giocavo con i soldatini…e mai mi avrebbero messo in mano una macchina fotografica. Leggo (e sento) di fotografi che, grazie al prezioso contributo dei genitori, che casualmente sono stati fotografi (ma leggi musicisti, artisti, appassionati di teatro, attori e bla bla), hanno avuto la possibilità di utilizzare tutti i preziosi strumenti del mestiere.
SEI SOLO ALL’INIZIO
Per me è stato completamente diverso, ma sono certo che lo sia stato per molti. Fino ad un po’ di tempo fa, queste notizie – sapere che altri avevano avuto delle basi di partenza MOLTO fortunate e quasi già disegnate – mi dava un senso di frustrazione e impotenza.
Mi sentivo sempre una dozzina di passi indietro, e credo di aver provato invidia per questo status a me negato. Ma questo vale in tutti i settori.
Conosco tante persone che si sono avvicinate alle loro passioni proprio perché gli erano nate da dentro senza “suggerimenti” famigliari, e che fanno una fatica bestia, nonostante le loro capacità, ad entrare “nel giro” e a farsi un nome.
Abbiamo una percezione distorta dell’esperienza e la gavetta sembra durare di meno; in realtà è un percorso ancor più complesso e frustrante di un tempo: tantissima competizione, opportunisti in numero sempre maggiore, concorrenza sleale, “colleghi” pronti a screditare il tuo lavoro.
Questo non significa che se constatiamo che qualcosa sia stato realizzato male non dobbiamo esprimere un nostro (pacato) parere, ma mi rendo conto che si vedono più persone che buttano fango sul lavoro altrui che professionisti impegnati a crescere, cercando di diventare sempre più competenti.
Lo spirito di competizione, in contrasto con lo spirito di creazione, spesso ci spinge a mettere in dubbio tutto ciò che non sembra un’idea vincente.
Questo atteggiamento può essere molto pericoloso e interferire con la capacità di portare a termine un progetto. Focalizzando l’attenzione sulla competitività e, quindi, sulla frustrazione del confronto, si incoraggiano i giudizi drastici, quelli che non ci lasciano scampo.
Se a questo scenario aggiungiamo la percezione di essere sempre due passi indietro rispetto a chi ha fatto nascere le sue passioni quando era nella culla, l’abbandono è dietro l’angolo.
Nell’istante in cui sai quale sarà il risultato, sei perduto.