Saper lasciare andare non è mai facile. Non importa in che settore lavoriamo, dove viviamo o quanto siamo positivi, belli, buoni, bravi, ricchi dentro e fuori e aperti nei confronti della vita e del prossimo. Il punto è che ci saranno sempre giorni, circostanze e persone che ci faranno letteralmente impazzire.
PRENDERE CONSAPEVOLEZZA
Credo che ognuno di noi sia nato con il proprio welcome kit. In Finlandia, quando nasci, ai neo genitori viene regalata dallo Stato una bella scatolina. Questa scatola, oltre a poter essere utilizzata per far dormire il nuovo arrivato, contiene tutto l’occorrente per i primi mesi di vita della nuova o del nuovo piccolo esemplare di essere umano: materassino, copri materasso, lenzuola, piumino, copri piumino, coperta, asciugamano, calze e guanti, cappello, tute e tutine, libri, giocattoli per la dentizione, pannolini e tanto altro.
Anche noi, qui, abbiamo il nostro piccolo kit di benvenuto: un iniziale debito (non si sa bene con chi) di poco meno di trenta mila euro, una pila di scartoffie da compilare (ma sono appena nato, non so scrivere!) e un assortimento di “personal pain in the ass”, gentilmente fornito dal fato. Tutti abbiamo avuto il capo, l’insegnante, l’amico, il famigliare, il conoscente, il partner, il funzionario pubblico, il cliente, il fornitore con la capacità di farci uscire dai gangheri. Anche se ci impegniamo, non basta mai: idee brillanti non sono mai abbastanza buone. Situazioni simili sono capaci di succhiarci completamente le energie e farci perdere le motivazioni. Spesso queste persone arrivano tutte insieme, a mo’ di falange oplitica…e lì sono guai.
Ci sono persone che, indipendentemente da quanto ci siano care, riescono a infastidirci: c’è chi mette in dubbio ogni cosa, ci sono i pessimisti che non vedono nulla di positivo, ci sono i lamentosi che ci trascinano nella melassa e poi ci sono gli opportunisti dell’ultim’ora che non perdono occasione per raccogliere tutto quello che possono e poi tanti saluti.
Alcune di queste persone possiamo possiamo evitarle ma, come spesso accade, con alcuni bisogna conviverci. Bisognerebbe cercare di minimizzare sia il numero delle persone che il tempo di permanenza con esse, ma non sempre è così semplice. Come fare allora? Come facciamo ad accettare il fatto che nessuno di questi cambierà, né tanto meno noi diventeremo Madre Teresa di Calcutta? Bisogna fare come gli uccelli negli stagni, come le anatre e i germani.
Nuotano senza preoccuparsi minimamente di ciò che accade intorno e quando inizia piovere…continuano a nuotare! In fondo sono già dentro l’acqua. Quando qualcosa non funziona e il primo pensiero è quello di mollare tutto e arrendersi, dovremmo fare come le anatre, lasciando che i problemi scivolino via come l’acqua. Le anatre non possono farci niente se piove, ne prendono atto (forse) e la vita continua. Alcuni problemi, così come alcuni acquazzoni, sono più difficili da ignorare, ma questa è la modalità giusta per affrontare alcune delle inezie quotidiane.
Se troviamo insormontabili i piccoli problemi che ogni giorno ci affliggono, troveremo davvero difficile affrontare con sicurezza quelli più importanti e difficili.
Lavoro spesso, insieme ai miei collaboratori, a stretto contatto con i clienti per introdurre progetti di trasformazione digitale, rinnovamento tecnologico e formazione in ambito IT e strategico. Mi è capitato presso un paio di clienti di trovarmi al tavolo con tante menti, alcune brillanti, altre meno, dimostrando che, con alcuni piccolissimi cambiamenti, avrebbero potuto diventare ancora più autorevoli nel loro settore. Io e la mia squadra abbiamo così individuato alcune criticità e, naturalmente, i punti forti sui quali lavorare per ottenere fin da subito risultati concreti. Partivamo da cose semplici, quasi banali: ad esempio fornire a tutti i dipendenti un set di strumenti base, sia che fossero neo assunti o veterani. Avere uno schema chiaro dei propri assets e, non meno importante, sviluppare un percorso di formazione mirato per ogni settore aziendale, con contenuti specifici e non qualcosa di generico tanto per accaparrarsi un finanziamento.
Ci è stato detto che l’approccio non piaceva e che venivamo percepiti come dei rompiscatole e che loro sapevano perfettamente come fare e come farlo al meglio. Mi sono reso conto che ero considerato un elemento negativo e che avevano un atteggiamento nei miei confronti e, nei confronti dei miei colleghi, che non avrebbero mai cambiato. Non volevano delle opinioni, volevano solo approvazione. Avevano bisogno di qualcuno che li assecondasse. E allora ho deciso di comportarmi come gli uccelli nello stagno.
Quando prendevano decisioni sulle quali non ero d’accordo, li ignoravo. A meno che non influisse negativamente su di me o sulle persone a cui tenevo – i componenti del mio team – non me la prendevo più per scelte che sapevo di non avere alcuna possibilità di cambiare. Ho dovuto costringermi ad ingoiare l’amara pillola della realtà, ma a tutti prima o poi capita. Cercavo comunque di tenere tutto sotto controllo per essere pronto a dissociarmi in caso di necessità.
Non posso certo dire che sia stato facile, anzi, ogni volta era una martellata sulle dita ma, pian piano, ho capito che non era quello il mio posto e, in punta di piedi, me ne sono andato.
Per un’anatra o un’oca o una folaga viene naturale lasciarsi scivolare l’acqua, ma per un essere umano la cosa si fa più complicata. Più ciò che facciamo ci appassiona, più è difficile affrontare le situazioni che non ci soddisfano. Dobbiamo inoltre tenere conto del fatto che molte delle persone che incontreremo potrebbero pensare che ci stiamo arrendendo e che non vogliamo più lottare. Hanno ragione: è esattamente così . 🙂 Quello che non capiranno è che abbiamo scelto le battaglie da portare avanti con la consapevolezza che non c’è alcun motivo di insistere nell’attacco quando non esiste possibilità di vittoria.
Sapere se e quando è il caso di abbandonare è importante tanto quanto riconoscere il momento per lottare.