E la tecnologia? In questi mesi molti hanno atteso la fantomatica Fase 2 ancor prima che si parlasse di fasi…qualcuno sapeva – o immaginava – che la ripresa sarebbe stata lenta, ma soprattutto confusa. 

Molti di noi, pian piano, anche grazie ad una moderata iniezione di “Sindrome di Stoccolma“,  si sono abituati ai sacrifici ed ora siamo pronti  a sostenere il fardello di altri, inevitabili sacrifici che ci verranno richiesti. Questa possibilità, in fondo ci solleva quasi. Se ci chiedono di fare dei sacrifici vuol dire che siamo ancora vivi, e abbiamo qualcosa da sacrificare, quel “di più” che, appunto, è sacrificabile. Perché tra sacrificare un’abitudine (la corsa in compagnia, l’aperitivo, il giro in bicicletta per arrivare al mercato, ecc.) e sacrificare il necessario (mangiare, lavorare, curarsi) c’è una bella differenza.

Vivi si diceva…già. Quelli che lo sono, perché molti non lo sono più; non solo fisicamente perché tragicamente defunti a causa del Covid-19 (o per altre mille patologie), ma anche psicologicamente e mentalmente. Ci sentiamo sempre dire che “non dovrà più accadere“, che “dobbiamo portare il rischio di questa malattia e dei contagi a zero“. Ma è impossibile garantire su questo. E’ impossibile pensare di ridurre a zero i rischi, in senso assoluto. Il rischio c’è, sempre. Sì, anche con il vaccino. Come possiamo pensare di poter affermare che non faremo mai incidenti in auto o che non verrà mai a grandinare? Non è possibile ovviamente.

La tecnologia come “presagio”

E allora cosa possiamo fare? Possiamo prevedere, possiamo immaginare scenari, anche apocalittici, ma se lo spirito di conservazione e autodifesa sono ancora lì a mantenerci vivi, allora è necessario adoperarsi in tal senso. Certamente anche grazie alla tecnologia (big data e machine learning in prima fila), ma la tecnologia diventa un mezzo e non il fine. Resta il fatto che “certezze” non possiamo averne. Precauzioni sì, certezze no. 

È un disputa che si ripropone ogni qualvolta si presenta un grande disastro: l’incapacità di capire pienamente il pericolo, l’insidia imprevista che minaccia le nostre vite. I media si sono dati un gran da fare – e non hanno certo smesso – per ricordare in maniera martellante che le nostre abitudini sarebbero cambiate, che le nostre vite non avrebbero potuto tornare come prima se non in un dato momento indefinito. Il tutto sempre in modo vago o, al massimo, con quell’atteggiamento tipico di chi vuole instillarti un dubbio, un’ansia. Se non in rari casi, i canali mainstream hanno preferito rendere marginale le notizie che, in qualche modo, affrontassero il problema come un’opportunità di cambiamento positivo.


Odio la burocrazia, non l’ho mai sopportata. Ferma le cose e le persone da una vita creativa. È contro tutte le cose di cui si occupa la vita.


E allora ecco che il pericolo, la frustrazione e la paura si fanno largo tra la massa. Questi sono gli stati emotivi con i quali abbiamo dovuto affrontare la quotidianità, completamente stravolta. Ma non paghi, anche la burocrazia ci è venuta incontro…scagliandosi come un sasso contro la nostra faccia. La recente cronaca ci ha offerto il ridicolo del quale si è coperta l’INPS e gli esempi di finanziamenti arrivati dalla Svizzera o dalla Germania erogati agli aventi diritto nel giro di giorni, se non di ore!

E anche qui, purtroppo, non è certo una questione di tecnologia: se un sito si blocca per le troppe connessioni concorrenti, non è una questione tecnica…lo è solamente nell’immediato, ma non certo in senso assoluto. Purtroppo la trasformazione digitale, che se ne dica con spot, brochure e claim più o meno riusciti, non ha mai fatto breccia nelle strutture pubbliche italiane, e il perché è presto detto: l’Italia odia tutto ciò che cambia i suoi gattopardeschi processi, le sue neolitiche procedure, e pietrificate consuetudini.

Uno degli esempi di questa “reticenza” nei confronti della digitalizzazione della PA italiana non è così lontana nel tempo. Non più tardi di 4 anni fa Diego Piacentini, top manager di Amazon, era stato chiamato alla riforma digitale dello Stato. Risultato? E’ durato un paio di anni, qualche resistenza e, sembra, sui alcuni computer dei funzionari ministeriali girava un software che contava i giorni mancanti alla fine del suo incarico…il cambiamento è proprio “amatissimo”. 

La burocrazia che governa

I nostri burocrati, e non parliamo dei ministri o degli innumerevoli consulenti che si susseguono uno dopo l’altro, ma quelli che sono fissi sulle poltrone meno “strategiche” e più funzionali, quelli che difficilmente puoi mandare via, odiano la tecnologia. Odiano tutto quello che può sconvolgere il loro trantran. Non sono mai stati educati alla formazione. 

Purtroppo, mi duole dirlo, l’organizzazione, l’efficienza che potremmo avere da una trasformazione digitale importante, vista come forma di organizzazione del lavoro e degli accessi ai servizi al cittadino, così come la rapidità esecutiva, sono l’ostacolo principale al potere egemone che questi funzionari possono esercitare. Ma, anche qui, la tecnologi non c’entra nulla.

Gli azzeccagarbugli, le norme, le contro-norme, i codicil­li che si auto contraddicono, sono i baluardi della strenua resistenza dei funzionari già citati. E, laddove vorremmo che ci fosse una risposta chiara per cambiare questo approccio, in quelle stanze dove la politica dovrebbe portare soluzioni, trova in realtà la mano amica tesa alla burocrazia, e chiusa a pugno nei confronti del cittadino. La politica, lo sappiamo, condivide storicamente quella cultura, quel modus operandi che permette a chi legifera di licenziare norme in piena armonia con questi timori, facendo da roccaforte al folle labirinto normativo.

Le leggi che regolano il rapporto tra pubblico e industria dell’informatica (la tecnologia appunto) includono una serie di farraginose procedure che servono a dare imperio alla burocrazia. La responsabilità del cittadino, del “qui facit“, sta nel rispettare quella norma anche se assurda, non nell’efficacia effettiva. Il cittadino, in questo grottesco panorama, quando non è assente è esso stesso il primo sospetto: le co­se non devono funzionare, devono essere a norma. Il risultato è sotto gli occhi di chiunque…non si avanza, e quando lo si fa lo si fa piano, male e spesso non ne vale la pena. 

Keypoint: qual è la conseguenza di questo desolante scenario? Che i servizi offerti al cittadino sono mediocri…nel migliore dei casi.

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