#332. RIFLETTENDO SULL’IDENTITÀ DIGITALE

Come mai ho (abbiamo) tanti “amici” su facebook? Come mai tanta ansia da collezionismo? Capita di chiedermi se il mio profilo “virtuale“, così come quello di tanti altri (chissà..magari tutti), abbia senso di esistere oppure no. Cioè, la domanda, a questo punto è: siamo ormai costretti, in qualche modo obbligati, ad avere una nostra identità digitale? Possiamo esistere, oggi (non domani, ma proprio oggi), senza il nostro alter ego 4.0? 

La risposta è tanto semplice, quanto lapidaria. No. A meno che non si faccia la scelta di vivere in modo alternativo, davvero. 

Fino ad un po’ di tempo fa avevo un po’ di confusione, talvolta smarrimento. Ora, nonostante i dubbi rimangano sempre, credo che una nostra profilazione digitale sia, non tanto obbligatoria o necessaria ma, piuttosto, conveniente. Il tema della sicurezza è, ad oggi, l’unico vero ostacolo ad un uso consapevole del nostro personale mondo digitale.

Certo anche la pigrizia gioca brutti scherzi, ma questo lo fa trasversalmente in ogni campo. 

Dire virtuale non ha più tanto senso, se non nel dark web (e anche lì di virtuale, ahimé comincia ad esserci ben poco); anche se proliferano profili social fasulli, invenzioni di ogni genere, di virtuale c’è rimasta solo la realtà che, ormai, sta diventando aumentata e non più virtuale. 🙂 

Certo è che la prima obiezione, lecita, aldilà delle filosofie tecnologiche e del mantra “stare al passo coi tempi“, è che questi sono strumenti che usano tutti…tutti. Molti, ma non certo tutti. Anzi, ognuno di noi ha almeno un paio di conoscenti (quasi amici) che un profilo su Facebook, ad esempio, non ce l’ha. Ma hanno una mail, oppure sono iscritti ad un servizio cloud, hanno una mail aziendale, hanno un bel account Amazon, oppure, credendo di essere fuori dal mondo, usano uno smartphone Android con Google che sa prima dell’inconsapevole utente delle sue intolleranze alimentari. 

Forse è anche vero che molte persone registrate sui social network non hanno una grande confidenza con la rete e quindi con le dinamiche che si creano con dei semplici click, ma le cose stanno cambiando ad un ritmo incontrollato.

Fino a poco tempo fa la regola di reciprocità era un lusso, come la reperibilità. Non era semplice fare gli auguri a qualcuno, e complimentarsi per un successo (vero o presunto) era davvero voluto. Non bastava un mi piace, o un cuore. C’era bisogno di argomentare. “Mi piace” era solo l’inizio…ora sembra la fine. Forse quella sana fatica nel raccontare e nel raccontarsi, nel congratularsi, nel criticare, un po’ manca. Anzi, criticare non manca. 

Keypoint: non durerà per sempre, come tutte le cose, ma adesso non ci sono alternative. Ma c’è di peggio. 

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