#318. SIAMO PRONTI PER UN NUOVO FUTURISMO?
Il 5 febbraio del 1909 il Manifesto del Futurismo apparve per la prima volta sulla Gazzetta dell’Emilia di Bologna, il 3 ottobre dello stesso anno nasceva il Bologna FC, la squadra di calcio del capoluogo emiliano-romagnolo. Proprio a Bologna, il 22 gennaio del 1922, si inaugura presso il Teatro Modernissimo la controversa I Mostra d’Arte Futurista (lo stesso Marinetti scrisse “si scatena “un’oceanica gazzarra divisa in squadristi seguaci di Baroncini e in squadristi seguaci di Grandi“). Questo il testo del Manifesto che comparve per la prima volta su carta stampata:
- Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
- Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
- La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
- Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Nike di Samotracia.
- Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
- Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
- Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
- Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
- Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
- Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
- Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
Lo slancio per questo primo rivoluzionario manifesto – che diverrà vera e propria forma letteraria per i futuristi – si delinea forte e chiara l’intenzione di voler “rinnovare“, disgregandola, la nuova concezione dell’arte e della vita stessa che ne è permeata. Secondo i futuristi, il susseguirsi di scoperte scientifiche ed invenzioni tecniche vanno via via mutando i connotati del quotidiano e del tessuto urbano, creano l’imminente urgenza di ridisegnare i modelli estetici della percezione esistenziale e di ripensare a nuove modalità di linguaggio.
L’uso sempre più diffuso dell’automobile, dell’elettricità, del treno, con la conseguente crescita dell’industria, crea, nelle generazioni future, i presupposti per vivere un’epoca tipizzata da una profonda rottura con i valori del passato. Valori che i futuristi rinnegano con tutte le forze.
La rivoluzione digitale che stiamo “subendo” da alcuni anni sembra gettare le basi, seppur per forma e livello di consapevolezza diverse, per un richiamo storico quasi sovrapponibile a quello del futurismo di Marinetti. Va detto che, anche se da un lato le teorie sui “corsi e i ricorsi storici” di Vico sembrano non essere così superate, la determinazione nel voler rivendicare la totale identificazione dello spirito avanguardista sembra esser decisamente più tiepida rispetto a quella manifestata dai futuristi post Belle Époque.
Se da un lato la tecnologia corre più veloce della luce, sembra che l’arte, attraverso tutte le sue espressioni, sia ferma in un un controverso – e bizzarro – loop di transizione perenne. Un limbo che sembra non passare mai. Si ricicla, si auto celebra e si auto-rifiuta. L’arte ha bisogno più che mai di un pubblico educato, preparato e che non sia lì solo per fare presenza e deliziarsi il palato in un continuo tour eno-gastronomico, ma che sia disposto a lottare come indicato dal Manifesto del 1909.
Keypoint: ciò che manca al nostro potenziale futurismo è la sofferenza