#303. UN PO’ DI ME A CASO…
Ho voglia di raccontarvi un po’ di me…così, a caso. Ogni tanto inserirò, tra i miei articoli quotidiani, qualche esperienza personale. In fondo è giusto che mi “scopra” un po’.
Mia madre è morta l’11 novembre del 2011, dopo 13 giorni di coma. Leggendo da uno dei miei tanti taccuini scritti rigorosamente a mano, leggo:
“31/12/2011. Ciao ma, mi manchi. Ma so che sei vicino…forse. Gli ultimi giorni sono stati difficili, ma ho reagito alla grande e sono stato contento. E poi mi tenevi la mano. Lo sapevi già forse. Lo dicevi che te lo sentivi e non stavi bluffando. Non so come sia lì, ma sicuramente lo scopriremo tutti; spero solo che tu abbia rivisto la nonna e lo zio e che stiate bene. Finalmente. Siamo stati una buona squadra, con pregi e difetti, ma siamo andati bene. Non ti preoccupare, non ti dimentico. Ci mancherebbe…Non passerà giorno in cui non ti penserò. Mai. Pa sta bene, fa un po’ arrabbiare, lo sai. Ce lo teniamo così, in fondo ci vuole bene […]. Ok ti saluto, magari ci sentiamo prossimamente. Buon anno mamma. Ah!! Non preoccuparti, vado piano. Ciao.”
Mi sono sempre chiesto se voler fare troppe cose o il fatto di non aver voglia di fare assolutamente nulla potessero essere la stessa cosa.
Come tutti ho passato periodi strani fatti di notti insonni, pensieri, ricordi ora confusi, ora limpidi come quel lago d’agosto su al Moncenisio. E quante marmotte c’erano! Mi ritrovavo spesso in quello che ora è il mio studio, ma che per diversi anni è stata la casa dove ho vissuto con la mia compagna e per un po’ anche con il piccolo Guglielmo.
Il monolocale “immerso” nella campagna che ci ha salvati da malattie, dal terremoto e ci ha riparati dalla pioggia. Lo abbiamo abbandonato e poi ripreso. Abbiamo cambiato casa decine di volte, per poi tornare. In fondo ci aveva difeso quando nessun’altro lo aveva fatto. Quante notti mi sono ritrovato ad ascoltare in cuffia la tromba di Sztanko e la lavasciuga che andava mentre il mio scritto a mano libera procedeva un po’ debole, ma sincero.
La mano era un po’ dolorante per il movimento forzato nella scrittura libera e, forse, troppo allenato a digitare impersonali lettere su una tastiera. Però suona. E si allena questa mano, che insieme all’altra costruisce, compone e improvvisa. Segue l’anima, il cuore e un cervello che vive la frustrazione di essere più veloce di quella mano.
Non so perché leggere quella pagina ma ha poi “ispirato” questo flusso di pensieri. Così. Succede.
Keypoint: sono felice di raccontarmi un po’. Grazie.