#56. VIVERE COME UN SEME E ACCETTARSI
All’interno della società in cui viviamo, che ci inquadra e ci impone mode, gusti e pensieri, ci sentiamo continuamente obbligati a dimostrare la nostra unicità, la nostra eccezionalità, il nostro essere speciali. Non riusciamo a vivere come un seme.
L’uomo, specie socievole secondo Aristotele, vive in società senza – apparentemente – alcuna difficoltà. Le difficoltà si manifestano quando cerchiamo non solo di vivere gli uni con gli altri, ma di quando vogliamo essere accettati. Chi di noi non desidera ogni tanto essere ammirato o essere un esempio? Ma come possiamo pretendere di essere ammirati, riconosciuti, se noi stessi per primi ci consideriamo una nullità? Il primo passo per essere accettati e apparire “grandi” agli occhi degli altri è accettarsi.
Siamo spinti a cercare di migliorarci in qualche modo, a non lasciare indietro niente che poi ci faccia sentire superati rispetto agli altri, a diventare più belli, più ricchi, più buoni, ad avere più successo e ad evolverci spiritualmente. Il nostro imperativo è quello di diventare migliori di ciò che siamo.
La soddisfazione non è mai completa e la nostra ansia diventa sempre più grande e difficile da gestire: non ci bastiamo mai, non ci accontentiamo mai dei nostri progressi, più facilmente cogliamo i fallimenti e ci facciamo indebolire da frustrazioni continue. Qualcosa, dentro di noi, ci dice che i passi che facciamo non sono sufficienti a raggiungere quella meta che ci siamo prefissati. Arranchiamo nel tentativo di diventare quel “personaggio” al quale ambiamo, convinti che sarà migliore di ciò che siamo ora.
Sarebbe davvero scioccante scoprire che in realtà la nostra vera natura, ciò che possiamo e vogliamo diventare, è già dentro di noi. Noi siamo sia la cassetta degli attrezzi che la macchina. L’unica cosa che dobbiamo essere in grado di fare è dischiudere la nostra vera bellezza, il nostro senso. Ognuno di noi ha un suo senso, il proprio seme.
Se dovessi parlare di me…quante volte mi sono ritrovato a dire che non valgo nulla, che ogni cosa che faccio è da buttare, che ogni scelta ha avuto, in se, un errore importante. Non è affatto facile convivere con un giudice così duro (e bipolare) come quello che abbiamo dentro. Certo, ci sono persone vittime dell’effetto Dunning-Kruger che, molto probabilmente vivono in pace e serenità, credendo di essere molto meglio di ciò che in realtà sono, ma non tutti hanno questa “fortuna”.
Ho provato a dirmi, e continuo a farlo, che in realtà sono già qualcosa di completo, proprio come un seme che necessita solo di acqua per crescere e diventare ciò che è. Tutto quello che cerchiamo – qualità, idee, stati mentali, è già lì, in quel piccolo seme. Le piante non hanno alcuna necessità di diventare migliori, sono già perfette così come sono, fin dal bulbo. Noi siamo così, e molto di più.
Keypoint: siamo già ciò che di bello possiamo diventare, ci serve solo dell’acqua, possibilmente non inquinata.