#279. COME TRATTIAMO GLI ALTRI?
Quasi la totalità della popolazione mondiale, indipendentemente dal credo, dal colore, dalla razza e dal livello di istruzione, tende a farsi un’idea delle persone in base alla loro posizione, al successo e alla ricchezza accumulata. Nessuno, in prima istanza, si preoccupa di come queste persone ci siano arrivate. Sì certo, molti – soprattutto i grandi guru e i comunicatori più esperti – insistono sul fatto che il pensiero comune non riesce ad andare oltre alla superficie, tralasciando così i sacrifici, le lotte, gli sbattimenti, i fallimenti e tutto il retorico pacchetto completo che queste successful people hanno vissuto per arrivare ai loro traguardi. E allora via ad elencare le 7 abitudini di Elon Musk, le 5 strategie di Steve Jobs, i 9 trucchi di Warren Buffett e la strategia sportiva di Cristiano Ronaldo.
Difficilmente, però, ci preoccupiamo di come le persone, indipendentemente dal successo, trattino gli altri. Se hai fatto i soldi hai comunque vinto, anche se sei un infame bastardo. E’ un po’ come pensare che i boss di mafia e ‘ndrangheta siano dei grandi perché, non solo hanno accumulato ricchezze e, in alcuni ambienti conquistato la stima, ma perché hanno anche “creato posti di lavoro”!
Se pensiamo questi siano casi diametralmente opposti, allora stiamo dicendo che la mafia è un’invenzione, che il favoreggiamento, il nepotismo e la corruzione non esistono. Ogni fottuto giorno viviamo una sorta di piccola mafia, subiamo angherie più o meno velate e, a nostra volta, siamo pronti a chiudere un occhio per il nostro tornaconto. Ma la domanda resta sempre la stessa…”Come tratto gli altri?” Se parliamo male di qualcuno con i nostri amici e colleghi e quel qualcuno non è lì presente per poter controbattere, ci sono buone probabilità che anche noi, nel nostro piccolo, siamo un po’ bastardini. Lo so, da fastidio, ma è così…e no, dire “lo fanno tutti”, non ci scagiona. 🙂
E’ un altro di quei casi per il quale allenarsi potrebbe essere di grande aiuto. E’ uno sforzo enorme: si può iniziare facendo silenzio durante la pausa caffè alla macchinetta; mentre tutti giocano a chi sputtana meglio il prossimo, noi proviamo a fare silenzio. Certo che se noi siamo stati i direttori dell’orchestra filarmonica dello sputtanamento, chi ci sta intorno si troverà spaesato, a tratti sgomento, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Dopo questa prima complicatissima fase di forzata estraneità, il passo successivo è quello di intervenire dicendo che è inutile parlare senza conoscere anche la versione dello sputtanato. Avremo il gelo e forse l’isolamento. Lo sputtanamento, così come certi riti nelle gang di strada, sono atti di iniziazione, riti di appartenenza.
Passeranno le settimane e, miracolosamente, ci accorgeremo che con molte persone non abbiamo alcun argomento in comune se non l’astio e la bile nei confronti di qualcuno. La fase finale sarà quella di coinvolgere lo (o la, per quello siamo estremamente paritari) spettegolato per chiarire definitivamente. Allora sì che ci accorgeremmo di che pasta è fatta la gente. La qual cosa potrebbe non piacerci…
Se non impariamo a trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi, come possiamo pretendere che lo facciano loro? Lo sputtanamento è come il tradimento, anzi è un tradimento, e come tale pensi di non viverlo finché non ti viene sbattuto in faccia e, anche in quel caso, tendiamo a far finta di non capire. “Ma come? Andava tutto bene“. Ammettere di essere stati traditi è un gesto molto forte, che mette in gioco non solo la fiducia che avevamo riposto nel prossimo, ma anche la nostra autostima. Il dubbio ti viene: “dove ho sbagliato?” Magari abbiamo sbagliato, certo, ma perché non ci è stato detto? Perché hanno preferito non dircelo e gettare discredito a nostra insaputa?
Insomma, come la giri giri, questo storia è sempre spiacevole e non vi è giustificazione alcuna. Se non ti piace qualcuno diglielo, se puoi/vuoi non dirlo, non farlo nemmeno con altri. E’ semplice.
Keypoint: il modo migliore per conoscere una persona è vedere come ti parla degli altri.