#200. LA SOFFERENZA CI RENDE GENEROSI
Il dolore e il dispiacere, la sofferenza, quelle emozioni che noi consideriamo negative, diventano fonti di empatia e compassione per gli altri, in quanto solo coloro che hanno sofferto possono comprendere appieno una persona che soffre. La sofferenza umana così viene ad assumere una duplice natura: può essere causa di infelicità o un incentivo per un’ulteriore crescita. Se ci disperiamo di fronte alla sofferenza, siamo persi, ma se la consideriamo un’occasione per svilupparci e migliorarci, scopriamo che la nostra esperienza ci rende in grado di portare felicità agli altri. Coloro che hanno sperimentato lo stato della fame, provano gratitudine più profonda per le risorse e per il cibo che ci fornisce la terra, e imparano a provare una maggiore pietà per coloro che non hanno cibo e per la natura in sé. Questa consapevolezza li rende in grado di comprendere e aiutare gli altri ad affrontare il loro Io e a riconoscere la futilità dei loro desideri egoistici.
Così scriveva Daisaku Ikeda, controverso filosofo e maestro buddhista, considerato come uno dei più importanti leader spirituali buddhisti del nostro secolo, assieme al Dalai Lama. In questo pensiero è racchiuso un modo – e un mondo – molto particolare di affrontare le grandi sofferenze. Non c’è nessuna “lezione” per superare il dolore e la sofferenza, nemmeno nel caso delle perdite più importanti. Per Ikeda la separazione è una delle otto sofferenze dell’essere umano ma, ancora, se saremo in grado di superare tali dispiaceri, saremo rispettati perché pronti a guardare nella direzione del futuro.
“Nella vita dovremo affrontare distacchi di inesprimibile tristezza. Tuttavia, coloro che supereranno simili dolori e continueranno a vivere con forza e con coraggio, saranno prediletti e rispettati (…) come re e regine della vita. Perché non c’è vita più nobile di quella di una persona che supera una tragedia personale e prosegue lasciando dietro di sé tale risultato per guardare al futuro”
A noi sembra interessare più la sorte di chi ci era vicino, cosa e come eravamo noi, vicini a quella persona e il destino della persona lontana passa in secondo piano. Viene da chiedersi se non sarebbe il caso di costruirsi una “propria” vita, solida con affetti sinceri ma che, al di là delle sofferenze che per forza dovremo affrontare, possa reggersi comunque sulle nostre forze.
E’ una delle fatiche maggiori che ogni essere umano (e non solo umano) deve affrontare, ma rischiare di farsi trascinare dal dolore ed essere in balia degli eventi può, a lungo andare, trasformarsi nella sofferenza più grande che ci possa essere. La vita è un bene così prezioso che sprecarla offenderebbe la vita stessa.
Nonostante il mondo ne sia pieno, purtroppo non esistono replicabili per superare la sofferenza, tanto meno validi in qualsiasi contesto e, sopratutto, per qualsiasi persona. Per definizione ogni individuo è un essere individuale, unico e irripetibile e, come per le sue caratteristiche biologiche, anche le informazioni emotive sono uniche. Tuttavia possiamo introdurre alcuni concetti che che, senza gridare al miracolo, possono aiutarci a riflettere sulla condizione della sofferenza e, in una certa misura, razionalizzarne gli aspetti più “generici“.
In primo luogo se neghiamo l’elemento che ci provoca sofferenza non potremo mai risolvere il problema. Se il problema lo nascondiamo, allora non riusciremo mai a concentrarci sulla sofferenza e sarà impossibile elaborarla e superarla. Fare finta di nulla non eliminerà l’accaduto ma, al contrario, lo farà riaffiorare senza controllo. E’ necessario esprimere il dolore e renderlo vivo e partecipe della nostra vita; fa parte del nostro io più intimo che si sta liberando. Non dimentichiamo che siamo fatti per il 70% di acqua e il resto di ansia. 🙂
Keypoint: la sofferenza soffocata si trasforma in malattia. Come la febbre va sfogata prima di prendere medicinali, così la sofferenza va manifestata a pieno titolo.